San Leo, monaco basiliano…

Di Francesco Manglaviti

Una vera e propria biografia di san Leo non esiste negli archivi religiosi. In ogni caso, sono molti i riferimenti che ci permettono di operare una ricostruzione quanto mai fedele della sua esistenza, ed in particolar modo, del suo operato. Fra i tanti religiosi che dal mille al milleseicento circa, popolarono le vallate dell’Aspromonte, forse il più importante è proprio San Leo, al secolo, Leone Rosaniti. Una vita, quella di Leone Rosaniti, vissuta fra i monti che fanno da cornice ai centri di Bova ed Africo.

Controversa e, da sempre, oggetto di disputa la teoria sui suoi natali; una diatriba che vede contrapposti proprio gli abitanti di Bova ed Africo, accomunati dalla fede ma per contro divisi da uno spesso futile ed incomprensibile campanilismo. Le informazioni sulla vita di san Leo ci vengono date dalla tradizione, in particolare ci vengono raccontate da una sorta di preghiera narrativa, detta “raziuni”, cioè orazione (oppure anche “canzuna“) “di santu Leu“.

Sappiamo, così, che da giovinetto andava a scuola «al convento» (probabilmente il monastero della santissima Annunziata di Africo), ma che, ad un certo punto, scompare. Il «padre priore» manda due scolari a cercarlo ed essi lo trovano dentro una grotta, nel mentre «faceva penitenza e orazioni». Il padre priore, allora, invitò gli scopritori al silenzio, perché Leo andava preso «con parole dolci», ed intanto, si mise a preparare l’abito per monacarlo.

La vita solitaria, dunque, accanto alla preghiera comprendeva il lavoro, e questo era faticoso, umile ed alla stregua della più semplice classe sociale, quella dei boscaioli che ricavavano la pece dagli alberi. Infatti san Leo è raffigurato con la scure ed il pane di pece. Il suo primo miracolo e poi la notizia che san Leo vendeva la pece a Messina a benefìcio dei poveri, indica la sua umile provenienza.

 

 

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