Il trekking delle due fiumare…

Archiviata la splendida escursione di Pentedattilo,  gli amici di “Grecanica Trekking”, in data 08.05.2011, si sono puntualmente ritrovati ad Amendolea di Condofuri. Anch

e questa è stata un’uscita stimolante e ricca di spunti di ragguardevole interesse. Per quasi tutto il percorso, la stupenda cornice dell’entroterra grecanico, ha avuto come palcoscenico il letto bianco di ciotolame e sabbia finissima, prima del torrente Pisciato, e poi dell’abbagliante ed imperiosa Fiumara dell’Amendolea.

Il gruppo ha fedelmente ripercorso quelli  che furono gli angusti sentieri degli agricoltori di un tempo. E, man mano che la strada si consumava, forte era la sensazione di penetrare in un mondo diverso, primitivo, immune dai tentacoli di una civiltà che tutto ingloba e tutto inaridisce. In queste contrade infatti, in nome del progresso, si è consumato il rituale di un’emigrazione di massa che ha portato sconcerto e desolazione in quasi tutto il territorio.

Ripercorrendo un tratto del torrente Pisciato ed una vecchia mulattiera, tra piante di ulivo e mandorle che si diradano, tra ciuffi di ginestra che spuntano selvaggiamente dalle fessure rocciose, si è giunti in località Furrito dove è stato possibile apprezzare l’intera vallata dell’Amendolea che suole aprirsi tra imponenti montagne e chiazze di verde scuro.

 

Cenni storici

La fiumara dell’ Amendolea segnava il confine fra le due più importanti colonie della Magna Grecia: Locri da un lato e Reggio dall’altro. A quel tempo, si narra, che questo fiume si chiamava Alece ed era navigabile. La maggior parte degli studiosi sono dell’avviso che nella sponda locrese di questo fiume era situata l’antica Peripoli (di cui parlano diversi storici a partire da Tucidide e Zabone e finire al Nucera).

Peripoli, (città fortezza perché stava al confine) fu teatro di aspre battaglie che portarono alla fine alla sua distruzione.  Il Barrio (storico calabrese del 1500), traendo spunto da Tucidide scrive: “presso il fiume Alece sta la cittadella di Amygdalia, una volta detta Peripolis”.

Quel che è certo, comunque, è che Peripoli fu il luogo dove visse Pasitele, grande scrittore, pittore e scultore, tra l’altro, autore di un Giove scolpito in avorio e di una statua in bronzo raffigurante Apollo che è gelosamente custodita nel Museo nazionale di Napoli.

Il luogo e la leggenda

«Le leggende popolari narrano che in tempi remoti la fiumara fosse navigabile (naturalmente questo non è mai stato provato). Una di queste leggende narra che due paesi posti sulle sponde opposte si facevano in continuazione la guerra e che, per porre fine a tali ostilità c’è voluto un intervento divino. Da quel momento, narra la leggenda, tra i due paesi non vi fu più alcun contatto ma i morti di quella guerra vagano ancora sul letto dell’Amendolea senza riuscire a trovarne pace. »

San Leo, monaco basiliano…

Una vera e propria biografia di san Leo non esiste negli archivi religiosi. In ogni caso, sono molti i riferimenti che ci permettono di operare una ricostruzione quanto mai fedele della sua esistenza, ed in particolar modo, del suo operato. Fra i tanti religiosi che dal mille al milleseicento circa, popolarono le vallate dell’Aspromonte, forse il più importante è proprio San Leo, al secolo, Leone Rosaniti. Una vita, quella di Leone Rosaniti, vissuta fra i monti che fanno da cornice ai centri di Bova ed Africo.

Controversa e, da sempre, oggetto di disputa la teoria sui suoi natali; una diatriba che vede contrapposti proprio gli abitanti di Bova ed Africo, accomunati dalla fede ma per contro divisi da uno spesso futile ed incomprensibile campanilismo. Le informazioni sulla vita di san Leo ci vengono date dalla tradizione, in particolare ci vengono raccontate da una sorta di preghiera narrativa, detta “raziuni”, cioè orazione (oppure anche “canzuna“) “di santu Leu“.

Sappiamo, così, che da giovinetto andava a scuola «al convento» (probabilmente il monastero della santissima Annunziata di Africo), ma che, ad un certo punto, scompare. Il «padre priore» manda due scolari a cercarlo ed essi lo trovano dentro una grotta, nel mentre «faceva penitenza e orazioni». Il padre priore, allora, invitò gli scopritori al silenzio, perché Leo andava preso «con parole dolci», ed intanto, si mise a preparare l’abito per monacarlo.

La vita solitaria, dunque, accanto alla preghiera comprendeva il lavoro, e questo era faticoso, umile ed alla stregua della più semplice classe sociale, quella dei boscaioli che ricavavano la pece dagli alberi. Infatti san Leo è raffigurato con la scure ed il pane di pece. Il suo primo miracolo e poi la notizia che san Leo vendeva la pece a Messina a benefìcio dei poveri, indica la sua umile provenienza.

 

Il Passo della zzjta

Non abbiamo precise notizie in merito per respingere o accogliere ciò che si narra sul “passu di la zzjta”.  Quel passo sulla via della montagna, attraverso cui sono passati gli abitanti di Pesdavoli, di Roghudi, di Africo con le loro masserie, là i monaci pionieri vi avevano costruito i loro cenobi fin dal VII secolo, unica Via tra Reggio e Bruzzano. Purtroppo non conosciamo la cronaca di quanto accaduto in questo luogo nel basso medioevo, resta soltanto quanto tramandato dalla genialità popolare. Erano le prime ore del giorno quando la “zzjta” , promessa in sposa dal padre ad un notabile, lascia la casa materna, era lunga e faticosa la strada per arrivare in chiesa, camminando, camminando i castagni cedettero  il posto al frumento, l’amore all’obbedienza, l’angoscia alla dignità.

“La strada passava piacevolmente fino a quando il mare entra nel superbo panorama, la pietra diventa grigia e ferrigna quasi nuda e la montagna soprastante precipita nell’abisso e giù a destra si hanno colpi d’occhio pittoreschi sulla rapace fiumara Amendolea, prima che il sentiero oltrepassi l’arco scavato nella roccia, ecco improvvisamente con un balzo la “zzjta” si lancia nel vuoto. Il corteo ammutolisce e con gli sguardi si chiede il perché”.

Perché  il matrimonio che stava per fare era stato combinato dal padre senza che lei ne fosse messa al corrente, non provava nessun affetto verso il futuro marito, lei amava un giovane pastorello del posto al quale aveva  giurato amore eterno e, ad una vita senza amore ha preferito la morte.
Ricordiamo questa poveretta come ricordiamo tutte le cose triste di questa terra, e mano pietosa a futura memoria vi piantò una croce.

E’ da allora che nella cultura popolare il sito inizia a convertire il suo nome da “porticedda” a “passu di la zzjta”. Oggi noi non sappiamo dove finisce la leggenda ed inizia la realtà, di certo è che sul bordo del sentiero dove il precipizio diventa più profondo  vi è piantata una croce in ferro.